sabato 30 maggio 2015

Santina Biondo: Verità e Giustizia per mio figlio, Mario


Immaginiamo una bilancia invisibile. Una bilancia a due piatti, proprio come quella che la Dea della Giustizia custodisce, bendata e cieca, come troppo spesso ci appare. Ognuno di noi ha la propria bilancia invisibile, nella quale soppesa gioie, dolori ed esperienze, alla ricerca del suo personalissimo equilibrio. Ci sono storie dove la stabilità della nostra bilancia interiore trema. Restano solo pesi, senza più contrappesi e ci sentiamo schiacciati, calpestati, oppressi.
Quando, esattamente due anni fa, il 30 maggio 2013, Santina Biondo ha saputo che suo figlio Mario era stato ritrovato morto nella sua casa di Madrid, apparentemente suicida, il suo equilibrio ha vacillato. Quel figlio dal sorriso contagioso, partito da Palermo, in cerca di fortuna, non l’avrebbe mai più rivisto. Quel figlio bello e intelligente, di professione cameramen, sposato con una nota presentatrice televisiva spagnola e che riusciva a conquistare la fiducia di chiunque e a realizzare ogni desiderio, con impegno e sacrificio.
La bilancia interiore di Santina, da quel giorno, porta il peso spaventoso del dolore senza prospettiva, da un lato, e della speranza nel domani, dall’altro. Un carico senza più equilibrio, il cui unico ago, a tentare di bilanciare le cose, è la rabbia. Ma non una rabbia violenta e distruttiva, come sarebbe facile immaginare. Una rabbia costruttiva e vibrante, tesa alla ricerca di un nuovo equilibrio. L’equilibrio supremo. Quello tra Verità e Giustizia.



Chi era Mario e quanto spesso pensi a lui?

Mario era il figlio che ogni mamma desidera avere: affettuoso, premuroso e devoto alla famiglia. Non mi ha mai creato nessun tipo di problema: nessuna bravata, neppure da adolescente, niente droghe, niente alcol, usciva con gli amici e si divertivano semplicemente stando insieme. Era un ragazzo tranquillo e sereno, cresciuto con amore, ed era accorto anche nello scegliere le persone di cui si circondava: conoscenti, amici, compagni, tutta gente equilibrata come lui, con cui aveva qualcosa di bello da condividere.
Quante volte penso a lui? Non c’è un istante nella mia giornata in cui non penso a lui. È sempre nei miei pensieri e nel mio cuore, in ogni mia azione e ogni momento.

Da quando avete appreso della sua tragica perdita, qual è stato il momento più difficile?

Ogni giorno è difficile nello stesso modo, ma, di sicuro, quando, a settembre dello scorso anno, il Perito della Procura, Paolo Procaccianti, Direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Palermo, ha confermato l’ipotesi del suicidio è stato un momento particolarmente devastante per tutti noi della famiglia. Non abbiamo mai creduto al suicidio e sentire convalidata una tesi che non abbiamo mai sostenuto ci ha distrutti, ma sono bastati un paio di giorni per riprenderci e continuare a combattere per la ricerca della verità, tanto che siamo riusciti ad ottenere grandi risultati nel momento in cui altri due medici legali, hanno sostenuto e avallato l’ipotesi dell’omicidio, scoprendo nuovi particolari che forse non erano stati notati nella Perizia precedente.



Di fronte ad una storia così drammatica e assurda vi siete mai chiesti perché è accaduta e perché proprio a voi?

Le cose succedono a tutti e spesso senza un perché. Queste tragedie ti investono e ti stravolgono la vita e purtroppo può accadere davvero a chiunque. La cosa che più mi ferisce di questa vicenda è questa: dato che mio figlio è morto in casa sua, perché la moglie, la presentatrice spagnola Raquel Sanchez Silva, non ha fatto mai niente per scoprire cosa è accaduto realmente? Sembra quasi che non stia dalla nostra parte: perché? Questo mi ha sconcertato e tutt’ora mi fa male. Era la moglie di mio figlio e, anche se non la vedevamo spesso e non parliamo la stessa lingua, ci sembrava una donna affettuosa e molto innamorata di Mario, stavano bene insieme, ai nostri occhi.

Come si fa a non essere solo arrabbiati per l’accaduto e increduli per come si sono ricostruiti i fatti?

Io sono arrabbiata. E forse è proprio questa rabbia che mi dà la forza di alzarmi la mattina e ricominciare, ogni giorno, la battaglia. Io sono arrabbiatissima. Sono arrabbiata per tutto quello che è successo e per tutto quello che pensiamo non sia stato fatto, soprattutto dalle Autorità spagnole: questa è la mia rabbia, a prescindere da quello che, secondo noi, non ha fatto la moglie. Non è stato fatto nulla, anzi. Abbiamo saputo che, dallo studio degli atti svolto da tutti i medici legali italiani, sia quello nominato dalla procura, sia quelli di parte, risulta che il medico legale spagnolo abbia tralasciato molti dettagli importanti, dichiarando quindi, a nostro avviso, il falso sulle circostanze della morte di Mario. Noi siamo sicuri che si tratti di un omicidio e chiediamo che le Autorità spagnole riaprano il caso facendo tutte le indagini che, secondo noi, non sono ancora state fatte.



È il ricordo a mantenere vive le persone che non sono più al nostro fianco. Qual è il ricordo più vivo che hai di Mario?

La sua risata, così limpida e contagiosa, mi torna sempre in mente. E l’ultima volta che è andato via da casa nostra: si è imbarcato per la Spagna con la sua moto e, prima che partisse, ci siamo dati un ultimo abbraccio e un ultimo bacio di cui sento ancora il calore. Infine quando, pochi giorni prima della tragedia, mi ha chiamato per farmi gli auguri per il mio compleanno, il 23 maggio 2013. “Tanti auguri, mammina”, mi ha detto e quelle sono state le ultime parole che ho sentito pronunciare da Mario.

Si dice che, in seguito a una perdita così inspiegabile, i giorni sembrano trascorrere senza più un senso. Quali sono, nell’arco di una giornata, i tuoi cinque minuti di felicità che ti permettono di trovare la forza di andare avanti e non arrenderti al dolore?


Nella mia vita non c’è più felicità. Neanche cinque minuti. La mia forza quotidiana deriva solo dal desiderio di dare giustizia a mio figlio e penso a lui in ogni istante della mia esistenza. Ho promesso sulla tomba di Mario che, fin quando avrò vita, lotterò in ogni modo per conoscere la verità e dargli giustizia. La mia unica speranza è che un giorno lo rivedrò. Rivedrò il suo sorriso, che mi manca tanto, e potrò stare al suo fianco per sempre.

giovedì 28 maggio 2015

Zoubida Chakir: storia di Imane Laloua, mia figlia


Ci sono storie che non si raccontano. Restano imprigionate tra le righe di un trafiletto o a prendere polvere tra i faldoni delle denunce in Procura. Non fanno quell’imponderabile salto di qualità che le rende degne di far notizia e non possono essere approfondite più di tanto, perché la legge dice che, se sei maggiorenne e hai voglia di andartene senza più dare notizie, scomparire è tuo diritto, nessuno può fermarti.
Questa è una storia come tante. Una storia sconosciuta e di sconosciuti, come la maggioranza di noi. Una storia di voglia di vivere, dove, a un certo punto, qualche meccanismo si inceppa e tutto sembra perduto. La storia di una madre, Zoubida Chakir, e di una figlia, Imane Laloula.
Zoubida vive in Marocco e, quando decide di separarsi dal marito, sua figlia, Imane, ha nove mesi. In casa della famiglia di Zoubida sono in tanti a condividere due stanze e, per quanto siano molto uniti, la situazione non è semplice.

“Mia figlia, Imane, non ha mai avuto una cameretta tutta sua. Da piccola si ammalava spesso e sentiva molto la mancanza del padre. Vedeva i cuginetti che giocavano col loro padre, mio fratello, e domandava sempre dove fosse il suo. Ogni tanto, per farla giocare, le mostravo le foto del mio matrimonio e lei era così contenta. Una volta, per la strada, ha perfino riconosciuto suo padre, che passava di lì per caso. Era una bambina vivace e attenta.”

Nel 1992 Zoubida lascia Imane dai nonni e parte per l’Italia in cerca di lavoro. Impiegherà alcuni anni a trovare un impiego stabile come badante e domestica e, solo allora, nel 1995, dopo tanti sacrifici, riuscirà a far venire in Italia anche la figlia, ormai quindicenne. All’inizio le due si stabiliscono a Firenze e Imane frequenta il Liceo Artistico per un anno.

“Imane era veramente un’artista. Faceva dei disegni bellissimi, tanto che molti li ha tenuti la scuola. Adorava Firenze, dove si sentiva circondata dall’Arte e dalla bellezza. Ma la nostra felicità è durata poco: col mio piccolo stipendio non riuscivo a pagare l’affitto e abbiamo iniziato a passare da una casa d’accoglienza all’altra. Sentivo che Imane era infelice, ma non sapevo come fare. Alla fine ho trovato un lavoro e una casa a Montecatini e ci siamo trasferite. Quando era triste Imane diceva sempre che si era sentita morire due volte: la prima quando si era trasferita dal Marocco in Italia e la seconda quando da Firenze si era dovuta spostare a Montecatini. Firenze le mancava tanto, ma una volta a Montecatini ci siamo date da fare e lei si è iscritta all’Istituto Alberghiero che ha frequentato per un anno, con profitto.”

Nel 1997 Zoubida si ammala. Non riesce più a lavorare per un lungo periodo e Imane lascia definitivamente la scuola. Fa molti lavori: prima la badante, come la madre, poi la cameriera nei locali e negli hotel. Per un lungo periodo fa anche volontariato alla Caritas, ma, anche se Zoubida ormai si è ripresa dalla malattia, il disagio di Imane è sempre più forte. Non ha amici, si sente sola e a volte discriminata per il fatto di essere straniera. Il solo amore della madre, seppure immenso, non le basta.
A poco più di diciannove anni conosce il ragazzo che diventerà suo marito. Anche lui è marocchino ed entra e esce dal carcere di continuo per reati legati alla droga, ma Imane se ne innamora perdutamente.

“Non sapevo nulla di questo ragazzo, finché, sistemando le cose di Imane, ho trovato le lettere che lui le spediva dal carcere. Mi sono preoccupata subito e abbiamo discusso, ma lei non voleva sentire ragioni e allora, quando lui è uscito dal carcere, ho accettato che lei lo portasse in casa. Imane voleva sposarlo a tutti i costi e così, il 16 settembre del 2001, si sono sposati in Marocco. Io continuavo ad avere problemi di salute ed ero molto preoccupata per l’influenza che questo ragazzo stava avendo su Imane, ma alla fine ho accettato il matrimonio per amore di mia figlia e ho partecipato anche io. Speravo che le cose così sarebbero migliorate e che anche lui si mettesse a lavorare, ma Imane ormai era troppo cambiata.”

I due sposi restano a casa con Zoubida per un anno e mezzo circa e il marito di Imane, a volte, si assenta per settimane intere. Imane racconta alla madre che è spesso fuori per lavoro, ma in realtà lui continua a entrare e uscire dal carcere, sempre per problemi di droga. Zoubida lo scopre dopo un po’ di tempo, trovando altre lettere che lui inviava dal carcere, ma decide di provare ad avere pazienza. Le cose però non sembrano cambiare, i due ragazzi sono sempre fuori chissà dove. Dopo l’ennesima discussione con Zoubida, Imane e il marito decidono di trasferirsi a Prato con alcuni connazionali e amici. Zoubida è esasperata e accetta la decisione di sua figlia di andare via di casa, anche se continua a essere preoccupata per il suo futuro. Imane, infatti, non è più la stessa. Non riesce a lavorare con continuità e si trascura.

“Quando, all’inizio del 2003, ho saputo da alcuni conoscenti che il marito di Imane era finito di nuovo in carcere, ero davvero agitata. Vedevo che lei faceva di tutto per aiutarlo, ma le cose non miglioravano. A giugno sapevo che Imane voleva andare in Marocco a trovare i nonni e, quando è venuta a trovarmi a casa mia per preparare alcune cose per il viaggio, le ho proposto di partire insieme alla fine del mese, quando anche io potevo prendere le ferie dal lavoro. Le ho detto che non poteva andare avanti così, che doveva lasciar perdere quel marito che le stava rovinando la vita e che sapevo che lui era finito in carcere ancora una volta. Ero davvero preoccupata. Ho cercato di convincerla ma lei si è arrabbiata moltissimo. Abbiamo discusso come non ci era mai capitato prima e lei è andata via sbattendo la porta e dicendo che non voleva avere più nulla a che fare con me e che non dovevo cercarla più. Quella è stata l’ultima volta che l’ho vista.”

Imane è maggiorenne ed è stato fatto ben poco per cercarla, nessuno si è interessato alla sua storia. Solo Zoubida non ha mai smesso di seguire le sue tracce, da Prato, a Firenze, fino in Marocco, sperando di trovarla viva. Dopo aver fatto la denuncia di scomparsa in Questura, le segnalazioni e gli avvistamenti sono stati pochissimi. Due anni dopo un conoscente dice di averla vista per l’ultima volta il 6 luglio 2003 dentro un fast-food di Firenze che festeggiava il suo compleanno. Dice di averla sentita dire di voler tornare a casa dalla madre. Ma gli anni passano e di Imane non c’è traccia. Il marito, dopo essere uscito dal carcere, non si è preoccupato affatto di cercarla e si è trasferito in Spagna. Dice che si è sentito abbandonato, che non ha più avuto notizie della moglie e che lei non lo ha mai raggiunto in Spagna, come pensavano alcuni. Neppure in Marocco sembra essere mai più andata: anche se aveva con sé i documenti, risulta che, né il Passaporto, né il suo Permesso di Soggiorno siano mai stati più rinnovati. Anni dopo la scomparsa alcuni amici dicono di averla vista a bordo di un’auto di grossa cilindrata con una targa straniera, altri assicurano di aver saputo che si è cacciata in un brutto giro, probabilmente a causa del marito, ed è morta, ma nessuna di questa notizie è mai stata accertata.


“Mio padre, il nonno di Imane, era cieco e diceva sempre che lei era la luce dei suoi occhi. Da piccola gli stava sempre accanto. Tutti i nostri parenti vorrebbero tanto riabbracciarla e io mi sentirei come in Paradiso se solo lei si facesse viva e se sapessi che sta bene. È la mia unica figlia e sono passati così tanti anni, che ho davvero paura che ormai sia troppo tardi. Chiedo solo che non venga dimenticata e che qualcuno ci aiuti a non perdere mai la speranza di poter rivedere il suo sorriso il più presto possibile.”

martedì 26 maggio 2015

Sam Stoner: umorismo nero e amore rosso sangue


Brillante, irriverente e decisamente graffiante. Se ironia e sarcasmo sono il vostro pane quotidiano e amate dissacrare i rapporti di ogni tipo, non facendovi mancare la giusta dose di sangue e mistero, avete trovato lo scrittore che fa per voi: Sam Stoner. Definirlo uno autore di noir è decisamente riduttivo, data la sua capacità di commistione di tanti generi molto diversi tra loro, dal rosa al giallo, dal thriller al romance. Collabora con numerosi siti di carattere letterario, per i quali scrive articoli e recensioni, è Responsabile Editoriale della rivista Pink Magazine Italia e ha pubblicato diversi racconti e romanzi, tra cui “Il Tredicesimo Racconto” e “Elvis rosso sangue” (Lettere Animate) e il vincitore del Concorso Letterario That’s Amore, “L’amore, questo bastardo”. Grafico di grande talento e Blogger dalla tastiera rovente, Sam ha deciso di raccontarci com’è nata la sua passione per la scrittura e quali sono i suoi programmi per il futuro, svelandoci qualche piccolo e interessante segreto…

La prima cosa che colpisce leggendo i tuoi romanzi è la tua versatilità: passare dal giallo al rosa, mantenendo il tuo stile diretto e tagliente, è una grande capacità. Come ci riesci? E, se dovessi scegliere, in quali panni ti sentiresti più a tuo agio?

Lo sguardo ironico sul mondo e le persone raggiunge il suo apice nel rapporto di coppia, nel quale si compiono azioni ridicole, se decontestualizzate. Lo stesso sguardo lo utilizzo, a volte, nel noir: tra i miei autori preferiti Elmore Leonard, maestro assoluto di questa commistione tra crimine e umorismo. Sono piacevoli entrambi i generi. Ora sto scrivendo un noir umoristico sulle vicende sentimentali. È una matrice che sento vicina. Lo stile è più vicino all’hard boiled, nel quale il cattivo dice una battuta feroce prima di premere il grilletto. C’è sempre il cadavere ma si usa la morte in modo dissacrante. Non per tutti i palati, me ne rendo conto, ma devo divertirmi mentre scrivo.

È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura un mestiere? Quali sono gli ostacoli che incontri ogni giorno in questo percorso?

Sì è possibile far diventare la scrittura un mestiere, a patto di dedicare molto tempo ad affinare la tecnica: come qualsiasi altro mestiere, la pratica è tutto. Le difficoltà credo siano quelle di chiunque: le necessità quotidiane che sottraggono tempo alla scrittura, in primis il lavoro. Ma si può sempre trovare un’ora da dedicare alla scrittura, si trova per il tapis roulant in palestra, credo si possa trovare anche per una nobile arte.

Ogni autore di talento è anche un lettore attento: quali sono gli scrittori, di ieri e di oggi, che ti ispirano maggiormente? Che libro c’è, al momento, sul tuo comodino?

I miei Scrittori! Sono molti, ci sono i grandi dell’Ottocento (Dostoevskij, Poe, Dickens, Balzac, James), quelli del Novecento (Chandler, Hammett, Woolrich, Kerouac, Fante, McCain, Salinger, Westlake) e i contemporanei (James Ellroy, Stephen King, Philip Roth, Cormar McCarty, Don De Lillo, Tom Wolfe). Tutti sono sempre presenti sulla mia scrivania. Sono i Maestri, dai quali attingo continuamente. Mi incanto sulle loro pagine. Ognuno insegna qualcosa di diverso. Alla fine la regola è una sola: essere sinceri e buttare sul foglio ciò che si ha dentro, senza filtri. La speranza è che poi quello che esce fuori possa interessare a qualcuno.

Tra le tue attività gestisci un Blog personale davvero interessante: quali sono le regole d’oro per avere un Blog di successo?

La prima regola, che non ho molto seguito in questo ultimo mese, è di pubblicare almeno un post al giorno per farlo bisogna programmare l’attività non ci si può affidare all’estro. Non tutti i post saranno al massimo ma servono per far salire il blog e guadagnare visibilità. Per questo è importante dedicarsi ad argomenti che appassionano, ritmi alti si sostengono solo se supportati da passione.

A cosa stai lavorando attualmente? Ci sono nuovi romanzi in arrivo? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


Sto ultimando due romanzi, ormai manca pochissimo. Entrambi noir, anche se uno, come accennato nella prima risposta, ha sfumature umoristiche. Mi piace l’umorismo nero, dissacrante e tagliente. E devo trascriverne sul pc un terzo che ho scritto a mano, quindi penna su carta. Non che il pc non mi piaccia, ma come prima stesura mi trovo a mio agio con una penna in mano, anche se questo allunga moltissimo i tempi, soprattutto per i romanzi. Spero di regalare sane risate e un po’ di tensione.

Sam Stoner Blog

sabato 23 maggio 2015

Franco e Lucia Arcamone: torna a casa, Emanuele!


Caro Emanuele,
Oggi è il tuo ventiseiesimo compleanno. Lucia, tua madre, ha preparato la tua torta preferita, sperando di vederti entrare in cucina, bello e sorridente, pronto a immortalare in una foto questo momento indimenticabile, assieme a tutta la tua famiglia. Come se questi due anni senza di te, senza avere tue notizie, non siano mai trascorsi.
Si dice che, una volta superato il quarto di secolo, arrivi il momento dei primi bilanci.
Voglio dirti la verità: ti capisco. Gli amici che tradiscono, l’amore che delude, lo studio che sembra fine a sé stesso, in un’epoca che ci stritola. A volte viene tanta voglia di andarsene. Di partire, senza lasciare traccia.
Ma a quale prezzo? Non puoi cancellare le orme che hai lasciato nel cuore di chi ti ama. Le persone che sono rimaste a casa ad aspettarti non smetteranno mai di cercarti ovunque, ma il tempo che stai “perdendo” lontano da loro non potrà più tornare. La verità è che non ci saranno per sempre. E il sollievo che avrai provato in questi anni, mettendo tanta distanza tra te e il dolore e la confusione che provavi quando te ne sei andato, prima o poi verrà soppiantato dal rimpianto di non aver dedicato tutto il tempo possibile alle persone che ami, pur restando te stesso. È il tempo a fare la differenza e tu ne hai ancora tanto da poter donare a chi ti vuole bene, là dove è il tuo posto.
Ho avuto la fortuna di parlare con Franco e Lucia, i tuoi genitori, e quello che leggerai di seguito è ciò che mi hanno raccontato della vostra storia. Il prossimo capitolo spetta a te. Perdonati e prova a essere meno intransigente con te stesso. Concludi il tuo viaggio, almeno per il momento. Metti insieme tutto il coraggio che possiedi e torna a riprenderti la tua vita, per trasformarla in ciò che desideri veramente, a viso aperto e comunque fiero di te stesso.
Tanti auguri di buon compleanno e… a presto!

Alessandra

Emanuele Arcamone scompare da Ischia l’8 maggio 2013. Nessun avvistamento verificato, nessuna pista da seguire, solo un allontanamento volontario. Ma chi è Emanuele? Raccontateci la sua storia.

Oggi Emanuele compie ventisei anni. È un ragazzo dinamico, vivace, attivo, ma nello stesso tempo molto fragile. Alla luce di tutto quello che è successo e di tutto il tempo che è passato dal giorno della sua scomparsa, possiamo dire che la sicurezza che mostrava davanti a noi, probabilmente, era solo apparente e dentro era profondamente scosso da tutte le cose che gli accadevano, tanto da arrivare a prendere decisioni drastiche, come quella di andarsene senza dare più notizie.
Emanuele frequentava l’Università a Napoli. È sempre stato un bravo studente e ha preso ottimi voti sin dalle scuole dell’infanzia, tanto che tutti, dopo le superiori, abbiamo visto come una scelta naturale la sua volontà di iscriversi all’Università. Ma, ultimamente, Emanuele non credeva più in sé stesso e faceva fatica a studiare, nonostante gli mancassero pochi esami alla Laurea. Inoltre in famiglia era un momento difficile, molti lutti ci stavano turbando, minando il nostro equilibrio, e Emanuele deve averne risentito particolarmente.

Quando lo avete visto l’ultima volta? Cosa è successo il giorno della scomparsa e come si sono svolte le prime ricerche?

Emanuele è scomparso mercoledì 8 maggio 2013 da Ischia, dove noi viviamo. Di solito non rientrava a casa prima di venerdì, giacché tutta la settimana viveva a Napoli per frequentare le lezioni universitarie. Quel giorno, invece, era tornato inaspettatamente, portando con sé tutte le sue cose. Io – dichiara Franco – stavo lavorando e l’ho intravisto dal pullman, verso l’ora di pranzo, mentre camminava per la strada. Ero meravigliato, ma, sul momento, non ho dato peso alla cosa, ho pensato che stesse semplicemente facendo una passeggiata. Mia moglie, Lucia, era a casa a preparare il pranzo e, mentre era intenta tra i fornelli, lo ha sentito entrare e dirigersi direttamente in camera sua, per poi uscire subito dopo, senza neanche passare a salutarla. Ma anche lei non ha fatto caso a nulla, pensando che fosse andato al piano di sopra dalla nonna e che sarebbe sceso a breve per il pranzo. Quando sono tornato dal lavoro – continua Franco – lo abbiamo aspettato insieme per un po’, pensando che avesse semplicemente voglia di stare solo. Non ci siamo allarmati subito, ma col passare delle ore abbiamo iniziato a credere che ci fosse qualcosa di strano e, guardando nella sua stanza, ci siamo resi conto che aveva portato con sé tutte le cose che di solito teneva a Napoli. Ci aspettavamo una decisione drastica, come quella di prendersi una pausa dagli studi, sperando di riprendere in seguito con più convinzione, ma, di certo, non pensavamo che potesse sparire senza dare più notizie.
Quando, intorno alle due di notte, ci siamo resi conto che Emanuele non era ancora tornato, siamo usciti a cercarlo. Abbiamo pensato subito a un incidente o a qualche disgrazia ed eravamo molto preoccupati, ma non avendo altre notizie, ci siamo recati immediatamente dai Carabinieri a fare la denuncia di scomparsa.
Per le prime ricerche, oltre alle forze dell’ordine, si sono attivati subito volontari e amici. Successivamente sono stati usati gli elicotteri e i cani molecolari, ma di lui nessuna traccia e ben presto ci siamo resi conto che tutto sarebbe stato davvero molto complicato e doloroso. Al Porto di Casamicciola, ad esempio, le telecamere non funzionavano e quindi non ci è stato possibile verificare se Emanuele avesse acquistato un biglietto per allontanarsi dall’Isola. Poter visionare i filmati di quelle telecamere sarebbe stato provvidenziale, tanto più che Emanuele è senza documenti. Abbiamo potuto dolorosamente constatare che la nostra situazione è stata presa con leggerezza e superficialità: si è pensato al capriccio di un ragazzo che voleva attirare l’attenzione, credendo che tutto si sarebbe risolto in breve tempo e invece noi stiamo ancora aspettando che Emanuele torni. È necessario prendere sul serio sin dal primo momento questi casi di scomparsa, non ci si può permettere di perdere tempo.

In questi anni qual è stato il momento più difficile, in cui avete creduto di non farcela?

Ogni singolo giorno è sempre più difficile. Questa sospensione in una condizione di non tempo ci consente di sopravvivere a stento. Le persone come noi, con figli scomparsi, non sono più persone normali, non possono esserlo neanche volendo. Ci attacchiamo a ogni flebile speranza, a ogni minimo indizio, che spesso, però, risulta essere privo di fondamenta, aggravando il nostro dolore. Ci illudiamo e poi precipitiamo di nuovo nel baratro del dubbio. Ogni momento è difficile: la sera prima di coricarci o quando c’è cattivo tempo e ci fermiamo a pensare se Emanuele ha un posto sicuro dove dormire, quando ci mettiamo a tavola per i pasti e ci domandiamo se Emanuele ha un luogo dove poter mangiare dignitosamente, è un dolore che ci accompagna sempre, anche se tentiamo di mascherarlo. Le persone provano a incoraggiarci, ma spesso non si rendono conto di quanto sia faticoso scacciare la sofferenza. Non possiamo lavarcene le mani, l’angoscia resta sempre dentro di noi, non può essere rimossa e riemerge ogni volta prepotentemente. Costruiamo delle dighe nel nostro cuore, per provare ad arginare il dolore, ma basta una fessura per invaderci di nuovo tutti. Forse sarebbe meglio non opporsi, farsi prendere, farsi devastare dalla sofferenza, nella speranza di stare meglio dopo.

Quando un figlio scompare senza lasciare traccia, il tempo sembra fermarsi e si prova un dolore senza spiegazioni. Che ruolo hanno, o potrebbero avere, l’opinione pubblica e tutti i mezzi di informazione di fronte a un caso di scomparsa?

I casi di scomparsa sono in aumento e tutti quanti vanno presi seriamente, sin dalle prime fasi. In queste circostante i mezzi d’informazione sono tutto. Noi utilizziamo molto anche i Social Network nella ricerca di Emanuele, nella speranza che, se lui si trovasse in qualche altro posto, dove magari volesse celare la propria identità, qualcuno, riconoscendolo dalle foto, possa mettersi in contatto con noi e darci sue notizie o magari convincerlo a tornare a casa. Soprattutto nei casi di allontanamento volontario, per i quali le forze dell’ordine possono fare ben poco, l’unica speranza, per tenere alta l’attenzione sugli scomparsi, sta proprio nei mezzi di comunicazione che sembrano mettere in moto un circolo virtuoso per il quale, anche le poche ricerche che si fanno, riprendono vigore.

Oggi chi vi sta più accanto, concretamente e quotidianamente, nella ricerca di Emanuele? Come trascorrete le vostre giornate?

Noi siamo persone sole. Solo gli iscritti al gruppo Facebook “Cerchiamo Emanuele Arcamone” si danno da fare quotidianamente. Anche la trasmissione “Chi l’ha visto?” ci ha sostenuto molto, ma i riscontri sono stati pochi. Noi facciamo di tutto perché Emanuele non venga dimenticato, ma col passare del tempo è sempre più difficile. È doloroso dirlo, ma sembra quasi che, con la scusa della sofferenza, le persone vogliano rimuovere la nostra storia dai loro ricordi. Noi avvertiamo un grande senso d’impotenza. Ci sentiamo nulla di fronte alla grandezza di questo dolore. E spesso di sentiamo anche colpevoli. Sembrerà assurdo, ma ci colpevolizziamo di non aver capito in tempo il disagio che stava provando Emanuele e di non essere stati capaci di fermarlo, né di trovarlo subito dopo la scomparsa. È terribile e tutto ciò ci sta distruggendo.

Rivolgetevi a Emanuele: cosa vorreste dirgli nella speranza che stia leggendo le vostre parole in questo momento?

Emanuele è sempre stato un bravo figlio, sensibile e altruista e la sua mancanza si sente moltissimo. Tutta la famiglia lo aspetta: la sorella, il fratello, gli zii, i cugini, la nonna. Negli ultimi tempi, anche prima della sua scomparsa, la nostra famiglia è stata colpita da tante disgrazie: abbiamo attraversato e attraversiamo tutt’ora un periodo difficile, fisicamente ed emotivamente e sappiamo quanto Emanuele fosse turbato anche da questo clima luttuoso che si respirava in casa, oltre alle difficoltà che stava riscontrando nello studio. Ma non ce la facciamo più a stare senza di lui.

Non è troppo tardi, Emanuele – Lucia sospira –, non lasciarti dominare dalla paura e dall’orgoglio. Devi tornare e sarà come se questi anni non ci fossero mai stati. La casa è piena di ricordi che ci fanno pensare a te e non possiamo rassegnarci all’idea che i nostri giorni insieme siano finiti. È troppo presto, torna a casa. Tutti i ragazzi hanno paura del futuro, soprattutto se sono sensibili come te, ma hai ancora tanto tempo davanti. Le insicurezze le supereremo insieme, uniti come siamo sempre stati. Abbiamo capito che il tuo allontanamento è stato un gesto di disperazione, quindi puoi tornare quando vuoi, nessuno ti giudicherà, devi solo farti coraggio. Ricordi le nostre passeggiate e le nostre foto insieme? Eri così affettuoso! Non lasciarci in sospeso. Sei amato da tutti, come sempre, e non è giusto che ti privi del nostro affetto. Sappiamo che sei vivo, non abbiamo mai smesso di sperarlo e di crederlo. Torna sui tuoi passi, prendi coraggio e restituisci la serenità alla nostra famiglia. Noi ti aspettiamo! Buon compleanno, Emanuele! 

giovedì 21 maggio 2015

Sara Cordella: chi è il Grafologo Forense


Saper interpretare scientificamente la grafia di un soggetto è un’arte. Vi sembra un controsenso? Nient’affatto. La nostra scrittura è unica e irripetibile quasi quanto un’impronta digitale e solo le capacità e le abilità del grafologo sono in grado di riconoscerne i tratti peculiari e, all’occorrenza, spiegarne i segni in modo da tracciare un profilo dell’autore. Sara Cordella, grafologa forense di grande professionalità ed esperienza, ci spiega in cosa consiste questo mestiere particolarmente interessante, svelandocene i segreti.

L’interpretazione scientifica della scrittura, che permetta di tracciare un profilo della persona a cui appartiene, è un tema affascinante, ma complesso. Chi è un grafologo forense? Che studi occorrono e di cosa si occupa?

Il grafologo forense è colui che si occupa di tutte le sfumature della grafia e dei documenti in generale in ambito legale. Di solito il grafologo forense è iscritto all’albo dei tecnici in tribunale alla voce “esperti in analisi e comparazione della grafia”. Veniamo quindi identificati in due fasi del nostro lavoro: l’analisi e la comparazione degli scritti.
Il grafologo sa, di una grafia, tracciarne un profilo o farne un’attività di identificazione. E le due fasi non sono per niente svincolate.
Da gennaio del 2013 siamo stati riconosciuti a tutti gli effetti come professione e questo è un riconoscimento molto importante che molte categorie (come per esempio i criminologi) ancora non possono vantare.
Personalmente, dopo la laurea in Lettere, sono diventata consulente grafologo presso la Scuola Patavina di Grafologia, specializzandomi in grafologia peritale e poi, nel tempo, prendendo altre specializzazioni utili al mio lavoro.
Attualmente lavoro per il tribunale e per studi legali e sono consulente di alcune agenzie investigative. Ho anche la fortuna di poter insegnare la mia materia un po’ in tutta Italia.

In molti se lo domanderanno: quali sono i tratti preponderanti che ci permettono di riconoscere la grafia di un soggetto? Quando e come si formano? È possibile camuffarli?

Considera che i primi “segni grafologici” si formano nel ventre della mamma, assieme alla formazione dei foglietti embrionali. Questi sono i segni temperamentali che ci accompagneranno per tutta la vita. Ci sono poi i segni del vissuto, quelli che si modificano in base alle esperienze della vita, che crescono con noi e ci cambiano come fossero le rughe del nostro viso. In alcuni casi, come per esempio quando si scrive una lettera anonima, si cerca di camuffare la propria grafia per non farsi riconoscere. Il ‘problema’ è che si possono modificare alcuni segni, ma non si possono controllare tutti allo stesso tempo. Perciò, la propria impronta grafica sfugge sempre. E il bravo grafologo la sa sempre identificare.

Dall’interpretazione dei primi disegni dei bambini, alla lettura delle ultime lettere dei suicidi: la scrittura ci accompagna in tutto il percorso della nostra vita. Cosa ti rivela lo studio di questi documenti in apparenza così diversi?

La scrittura è una sorta di fotografia di sé stessi che coglie la morfologia e i tratti salienti di ognuno nel momento stesso in cui viene fissata sul foglio. Il grafologo è fortunato perché ha tra le mani un negativo. A lui spetta il compito di sviluppare questo negativo in una fotografia a colori, cogliendo le singole sfumature di una personalità: il carattere, l’intelligenza, ma addirittura la postura e la presenza di eventuali patologie che vanno a modificare il tratto grafico.

Nel corso della tua carriera ti sei occupata di moltissimi casi, più o meno alla ribalta della cronaca. Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia in cui hai percepito particolarmente che il contributo della tua professionalità avrebbe fatto intraprendere la strada giusta.

Io ho iniziato a studiare grafologia affascinata dall’ultima lettera di Luigi Tenco e questo è sempre stato il filo rosso che ha accompagnato tutta la mia storia grafologica. Ecco, secondo me questo è il caso per eccellenza nel quale il contributo grafologico è essenziale per trovare la “soluzione”. La scena del crimine, infatti, fu a suo tempo totalmente compromessa da una serie di errori e leggerezze. La lettera di Tenco, correttamente interpretata e letta, diviene scena del crimine stessa. Un grafologo, in questo ambito, è un criminalista a tutti gli effetti perché opera sul documento con le stesse modalità con le quali si opera sulla scena del crimine, usando anche gli stessi strumenti (la fotografia forense, gli ultravioletti e infrarossi, il microscopio ecc.).

Quali sono al momento i tuoi progetti per il futuro? E che consiglio ti sentiresti di dare a chi voglia intraprendere questo interessante, ma difficile, percorso professionale?

Il mio progetto per il futuro è quello di riuscire finalmente a pubblicare un libro. Vivo sommersa da bozze e idee che devo finalmente riuscire a concretizzare. Tra i buoni propositi che mi sono imposta c’è pure quello di avere un rapporto meno conflittuale con la tv e soprattutto con la diretta, consapevole del fatto che quello grafologico è un linguaggio che va fatto conoscere nella sua scientificità e nelle sue potenzialità.

Per diventare grafologi ci vuole una continua passione e curiosità. Lo studio della grafologia si nutre di amore, costanza e di una buona dose di capacità intuitive. I segni grafologici si devono vedere, conoscere e saper ritradurre in parole. Consiglio sempre, per la formazione, di affidarsi a scuole riconosciute dall’AGI (Associazione Grafologi Italiani), in percorsi non inferiori ai tre anni. E poi di fare tantissimo e costante esercizio quotidiano. Di grafia ci si nutre ogni giorno.


Sara Cordella Blog

martedì 19 maggio 2015

“DOVE SEI?” Manifestazione per non dimenticare chi è scomparso


Si terrà a Roma, il prossimo 14 giugno, una manifestazione di solidarietà per sostenere i familiari e gli amici di tutte le persone di cui si sono perse le tracce nel nostro Paese. Quella degli scomparsi è una questione molto dibattuta, i cui dati sono davvero allarmanti. È per questo che un gruppo di volontari, supportati da numerose Onlus e Associazioni che hanno a cuore questa problematica, hanno deciso di organizzare questo evento, perché si tenga alta l’attenzione su un tema tanto delicato.

“Ciò che ci accomuna da sempre è l'impegno instancabile che mettiamo nel gridare a gran voce "non dimentichiamo le persone scomparse". (…)
Il corteo che stiamo organizzando è per tutte le persone scomparse, anche quelle di cui i media non parlano o di cui non parlano più.
Vi invitiamo a prenderne parte per gridare anche il nome del vostro caro scomparso. L'invito è rivolto a tutti Voi, ai famigliari, agli amici e a chiunque non dimentica.
Ognuno di voi è parte di un unico cuore che non vuole smettere di battere: quello della speranza.”

Queste le parole degli organizzatori, gli attivisti della Petizione dedicata a Emanuela Orlandi, diventata ormai un simbolo per tutti coloro che si dedicano a questa causa. L’appuntamento per il prossimo 14 giugno è a Roma, in Piazza d'Aracoeli, alle ore 9:30. La manifestazione è patrocinata dal Comune di Roma.

Personalmente mi sento di estendere il mio invito proprio a tutti, anche e soprattutto a coloro che non sono direttamente toccati dalla scomparsa di una persona cara, ma che comunque vogliono mostrare la loro vicinanza e dare il proprio supporto a chi ne ha bisogno. Venite a conoscere di persona tutti i familiari e gli amici degli scomparsi e a osservare le foto dei loro cari che non smetteranno mai di cercare. Venite a guardarli negli occhi, a stringere loro la mano, a sentire le loro storie. Solo così potremo fare un passo avanti in questo lungo percorso di solidarietà e giustizia.

PARTECIPA ALL'EVENTO

domenica 17 maggio 2015

Tre buone ragioni per… non innamorarsi di uno Chef!


Li trovate più affascinanti degli attori di Hollywood? Quando ne vedete uno alla TV non riuscite più a cambiare canale? Le statistiche parlano chiaro: con o senza stelle, le donne impazziscono per gli chef. Io, invece, voglio proprio andare controcorrente e oggi vi svelo tre buone ragioni per stare in guardia, ragazze mie: saranno pure degli assi tra i fornelli, ma ad innamorarsi di uno di loro a volte si rischia di scottarsi...

1.      Anche il naso vuole la sua parte. Avete mai provato ad annusare il vostro Cracco dopo un’intensa giornata di lavoro? Ebbene sì, mie care, gli chef, quelli veri, che invece di stare davanti alla telecamera, si barcamenano tra i fuochi puzzano! Praticamente di tutto: dal pesce, alla carne, dall’aglio, alla cipolla, dal fritto, al dolce! Per non parlare del resto, giacché nelle cucine fa un gran caldo… Voi pensate di aspettarli a casa sul divano e buttargli le braccia al collo quando tornano stanchi e soddisfatti, neanche avessero combattuto in battaglia, e invece no, vi assicuro che a lungo andare, ancora prima di salutarli, li prenderete per un orecchio e li scaraventerete sotto la doccia tutti vestiti e senza nessuna intenzione di far loro compagnia.

2.      Dimenticate le Feste. Quando gli altri si divertono, i veri chef lavorano. Checché ne dicano Ramsay e compagnia, non c’è festa che tenga. Quindi preparatevi a una lunga lista di Natali, Capodanni, Pasque e Ferragosti sole solette o, quel che è peggio, in compagnia di tante coppie di amici che vi chiederanno “Masterchef dove l’hai lasciato?” e voi, sbattendo le ciglia, “al lavoro, poverino!”. Mica ve lo dice però, il poverino, che, dopo aver chiuso la cucina alle undici, va a bere una birra coi colleghi fino alle tre del mattino!


3.      Esigenti è un eufemismo. Perfezionisti? Scrupolosi? Pignoli? E diciamolo: rompipalle! E il più delle volte fissati con gli ingredienti di prima scelta e coi sapori di quando erano bambini e le loro mamme non facevano che viziarli. Questo lo mangio solo così, quell’altro lo abbino solo colà… di sicuro daranno una mano in cucina, quando non saranno troppo stanchi, ma dite pure addio alle pizze a portar via prese all’ultimo minuto e al take away cinese sotto casa, a meno che non si tratti di qualcosa di altamente selezionato. Come quando vi trovano a piangere come fontane mentre affettate la cipolla e scuotono la testa col finto sorrisetto rassegnato, prima di dire “dai a me, tesoro, che ti insegno il trucco per non piangere: acqua in bocca!”. Io sono anni che ci provo, ma ancora non ho capito come fanno! 

venerdì 15 maggio 2015

Zio Peppuccio, dove sei? Tonino Ruggiero racconta la storia di suo padre e dell’Associazione Penelope Lazio


Coreno Ausonio, 15 maggio 2011, Giuseppe Ruggiero, conosciuto da tutti come zio Peppuccio, scompare misteriosamente, senza lasciare traccia, a pochi chilometri da casa. A quattro anni esatti dalla sua scomparsa, il tempo sembra essersi fermato per i suoi familiari, che non hanno mai smesso di cercarlo. In particolar modo Tonino, figlio di Peppuccio, ha fatto di questo grande dolore una missione di vita, trasformando quella che poteva essere un’esperienza alienante, in un veicolo di grande solidarietà verso chi si trova ad affrontare il dramma di una scomparsa. Dopo aver collaborato a lungo con l’Associazione Penelope, Onlus che, da sempre, si occupa di sostenere e tutelare i familiari delle persone scomparse, Tonino Ruggiero è oggi il responsabile di Penelope Lazio e porta avanti una battaglia che sa non essere più solo sua. La sua voce è la stessa di tutti coloro che sono in attesa di qualcuno che amano, ma che non hanno nessuna intenzione di stare fermi ad aspettare.

Chi era Giuseppe, suo padre, che tutti noi conosciamo affettuosamente come Zio Peppuccio, e chi è oggi? Ci racconti la sua storia.

Mio padre era una persona semplice, profondamente buona e altruista: per lui l’amicizia e il rispetto erano principi imprescindibili e venivano prima d’ogni cosa.
Una persona onesta e un genitore esemplare, che ha passato tutta la sua vita a lavorare nelle cave di marmo di Coreno Ausonio, in provincia di Frosinone, tirando su una famiglia con tre figli. Da quando era andato in pensione si dedicava a tempo pieno a fare il nonno e il contadino e tutti i giorni si recava nei campi per lavorare la terra e prendersi cura della fattoria, accompagnato da Rocky, il suo cane. Le sue giornate terminavano sempre al tramonto del sole e mai un attimo prima. Quando pioveva, oppure nei giorni di forte calura, si dedicava a realizzare lavoretti di legno e cesti di vimini, preoccupandosi anche di riparare tutto quello che occorreva.
Era davvero instancabile: un punto di riferimento per parenti e amici, sempre pronto a risolvere qualsiasi problema. Quindi, all’occorrenza, diventava ciabattino, elettricista, sarto, meccanico, muratore e quant’altro, perché possedeva una manualità fuori dal comune. Aveva frequentato le scuole fino alla quinta elementare, ma era un inventore nato e un ingegnere autodidatta. Oziare, per lui, era impensabile, tutto il suo tempo lo trascorreva nei suoi terreni e nel suo laboratorio e d’estate, quando si concedeva un po’ di riposo, andava al mare, che era la sua passione.
Oltre a qualche acciacco fisico sopraggiunto con l’età, il suo più serio problema di salute era alla gamba destra, che, rispetto all’altra, era di due centimetri più corta. Questo handicap lo rendeva claudicante, ma, per il resto, viveva la sua vita pienamente e con vigore, senza porsi limiti. Era forte e volenteroso, sempre giovane nello spirito.
Tutto ciò si è interrotto in un giorno di festa per la nostra Comunità, esattamente il 15 maggio 2011. È in questo triste giorno che mio padre è scomparso in modo misterioso, in mezzo alla gente, a margine di una Manifestazione Civile e Religiosa. Da allora di lui non abbiamo avuto più nessuna notizia.

Cosa è accaduto il giorno della scomparsa e come si sono svolte le ricerche successivamente e nel corso degli anni?

Tutti gli anni, la terza domenica di maggio, presso il Monumento per la Pace di Coreno Ausonio, si svolge un evento in ricordo della Seconda Guerra Mondiale. Il posto dista 4 km dal paese e si trova a 700 m sul livello del mare. Durante la mattinata viene raggiunto dai partecipanti alla marcia per la pace, che alle 08:30 si avviano dal paese verso il Monumento.
Mio padre prendeva sempre parte a questa manifestazione, che, nel pomeriggio, tempo permettendo, prevede, di solito, anche un’escursione guidata lungo i resti della linea Gustav Coreno. Quel giorno mio padre aveva in programma di raggiungere il luogo dell’evento con la sua moto, una MV Agusta 125, compagna della sua gioventù. Mentre si accingeva a partire, però, un guasto lo fermò e per riparare la moto fece tardi. Dopo aver sistemato il guasto, per evitare di attardarsi ancora, non volle fermarsi a casa neanche per il pranzo e, salutata la moglie, inforcò la moto e partì. Mia madre lo sta ancora aspettando.
Lungo il tragitto è stato visto da tante persone che scendevano in paese, di ritorno dalla prima parte della manifestazione. Tutti hanno testimoniato che era lucido e tranquillo, d’altronde non aveva mai sofferto di perdita di memoria. Raggiunta la località Vallauria, è stato visto da molti spostarsi da un punto all’altro della valle, come se cercasse qualcuno. Amici comuni lo videro passare per l’ultima volta alle ore 14:30 circa, sempre in sella alla sua moto, duecento metri prima del punto dove la sera stessa è stata trovata posteggiata. Tutte le notizie che abbiamo di mio padre finiscono qui, alle ore 14:30 del 15 maggio 2011.
Vedendo che la sera non era ancora rientrato, e pensando che un nuovo guasto alla moto lo avesse fermato, decisi di andargli incontro. Giunto sul posto trovai una fitta nebbia, ma anche alcune persone che, in seguito al cambiamento del tempo, si erano fermate nei rifugi della zona, una volta usati dai pastori. Incominciammo a cercarlo assieme e trovammo la sua moto parcheggiata in un punto sospetto e impraticabile, in mezzo alle pietre. Mio padre avrebbe avuto molta difficoltà a parcheggiarla in quel luogo, e poi a quale scopo? Zoppicava, come poteva farlo? Si pensò subito che, a causa della nebbia avesse perso l’orientamento, smarrendosi. Poiché le nostre ricerche non davano nessun esito e iniziava a fare buio, chiamai il Sindaco, Domenico Corte, affinché ci aiutasse.
In poco tempo, non più tardi delle 21, giunsero nella valle una quarantina di persone, tra cacciatori amici e conoscitori del posto, seguiti dai Carabinieri e dai Vigili del Fuoco. Feci portare nella valle anche Rocky, il cane di mio padre, e continuammo a cercarlo fino a tarda notte, quando, a causa di un violento temporale, fummo costretti a sospendere le ricerche. Eravamo tutti angosciati, perché neanche Rocky aveva percepito l’odore del suo padrone.
Riprendemmo le ricerche all’alba del giorno successivo, proseguendole, in seguito, in modo scientifico, per ben due settimane, con l’aiuto di oltre cento persone al giorno. Per le ricerche di superficie furono utilizzati anche i cani molecolari, che però non furono di grande aiuto. In seguito vennero dragati tutti i pozzi ed esplorati ogni canalone, crepaccio, anfratto e grotta, mentre, dall’alto, operarono gli elicotteri. Ogni metro è stato perlustrato a fondo, ma di mio padre non è stato trovato nulla, nessuna traccia.
Abbiamo continuato ancora a cercarlo, in forma privata, per tutta l’estate 2011, fino all’apertura della stagione venatoria. La speranza di tutti era che i suoi umili resti venissero trovati dai cacciatori, che, con i loro cani, avrebbero effettuato le battute di caccia al cinghiale durante la stagione. Purtroppo non fu così. Alla chiusura della caccia, ci convincemmo definitivamente che mio padre, nei posti dove lo avevamo cercato fino a quel momento, probabilmente non c’era mai arrivato. 
Dopo quattordici mesi, il 31 luglio 2012, mio padre scompare una seconda volta, perché il fascicolo aperto sulla sua vicenda viene archiviato con la seguente motivazione: “Ora nessun elemento porta a desumere che egli sia stato vittima di un’aggressione piuttosto che di un incidente, anzi, il mancato ritrovamento del cadavere fa ritenere che l’anziano sia caduto in qualche crepaccio della zona”. Il Magistrato, quindi, in base agli elementi in suo possesso, ha escluso che sia stato commesso un reato e ha ritenuto che il corpo di mio padre si trovasse in un crepaccio sulla montagna, anche se durante le ricerche non è stato mai ritrovato.
Purtroppo mio padre non era una persona importante e la sua storia non ha fatto notizia quanto avrebbe dovuto. Ma era importante per la sua famiglia! Mio padre ha dato sempre lustro alla Patria, con il suo esempio e con tutto quello che faceva: educandoci all’onestà, alla serietà, alle buone maniere e al rispetto per il prossimo e per i più deboli. Adesso sta subendo l’ingiustizia più grande, quella di cadere nell’oblio, ma noi non possiamo rassegnarci. Purtroppo mi accorgo di fare fatica a parlare della sua scomparsa, soprattutto quando si fa riferimento alla sua età. L’anziano, infatti, al pari del bambino, dovrebbe essere tutelato e protetto e, se occorre, anche ricercato e non abbandonato al proprio destino
In questi anni ho dolorosamente constatato che durante le disavventure della vita si viene sostenuti solo se esse sono di breve durata, altrimenti le persone attorno a noi si stancano e si comincia anche a dare fastidio. Ma la scomparsa di una persona è cosa diversa da una qualsiasi altra tragedia o lutto: la morte stessa, una malattia o un incidente possono, forse, essere messi in conto, ma la scomparsa nel nulla di un familiare non potrà mai esserlo. Questa condizione di non vita e non morte è incomprensibile, non è insita nella natura umana.

Com’è cambiata concretamente la sua vita quotidiana da quel 15 maggio 2011? Qual è stato, in questi anni, il momento più difficile?

Da quel maledetto giorno di quattro anni fa niente più è stato come prima: i giorni scorrono tutti uguali nell’attesa che arrivi una qualsiasi notizia, bella o brutta che sia, purché arrivi. I nostri ritmi di vita sono stati stravolti, le Feste non sono più un momento di gioia e neanche ci si accorge del loro avvicendarsi. La scomparsa di un familiare senza saperne la sorte è una delle cose peggiori che possa capitare nella vita. I momenti difficili ci sono stati e, ancora oggi, sono tanti. Tutti i giorni si devono fare i conti con quel posto vuoto a tavola che ci interroga sulla condizione di vita sospesa in cui si trova mio padre, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Quello che però ci ha distrutto e ci ha fatto sentire soli e abbandonati risale a circa tre anni fa. Il 31 luglio 2012 il fascicolo aperto sulla scomparsa di mio padre, è stato archiviato per allontanamento volontario. Da allora noi familiari siamo rimasti gli unici a portare questa croce. Oggi mio padre è diventato soltanto un numero utile per le statistiche e sta subendo il torto più grande: essere dimenticato e abbandonato al suo destino da questo Stato troppo spesso indifferente verso chi è sfortunato. A tutt’oggi solo la sua famiglia lo cerca e grida allo sconcerto per una persona che manca all’appello da troppo tempo all’insaputa di tutti. Per questo ho scritto un libro dove racconto la sua vicenda che si intitola “Zio Peppuccio, dove sei?” e narra il giallo della sua misteriosa scomparsa. Ho voluto mettere tutto agli atti per preservarne la memoria, affinché ogni cosa accaduta fosse cristallizzata con questa testimonianza di prima mano. Tutta la sua vicenda deve essere riconsiderata sotto questa nuova luce: sono stanco di sentirmi dire che quello che vado affermando su questa scomparsa anomala è importante solo per me, anche se, in mancanza di nuovi elementi, il caso resta chiuso. Se tutto andrà bene, il libro verrà pubblicato alla fine dell’estate.

L’intera comunità di Coreno Ausonio è rimasta coinvolta nell’accaduto e si è stretta attorno alla sua famiglia. Chi vi è stato più accanto in questo lungo periodo di dolore e che ruolo svolge, o potrebbe svolgere, l’opinione pubblica per aiutare le famiglie di fronte a un caso di scomparsa?

L’intera comunità si è mobilitata all’epoca della scomparsa di mio padre e per due settimane gli abitanti di Coreno si sono spostati sul Pianoro di Vallauria, con il Sindaco di Coreno, Domenico Corte, in testa, e l’intera Amministrazione Comunale. Loro sono stati, in quei mesi, la nostra forza, ed il Sindaco Corte è stato il punto di riferimento più presente per la mia famiglia. Purtroppo queste sono tragedie che non hanno termine e posso affermare con dolore che oggi stiamo peggio di quei mesi, quando mio padre scomparve. Siamo stanchi e ormai soli, perché è passato tanto tempo.
Da parte dell’opinione pubblica c’è scarsa attenzione, non è preparata a misurarsi su questi temi, perché sconosciuti, ma essa potrebbe svolgere un ruolo fondamentale, se attentamente sensibilizzata. Il mondo è pieno di tragedie ed io mi inchino verso quest’umanità sofferente, ma la scomparsa di una persona è cosa diversa, e, come dicevo, è un dolore che non ha fine. Pensiamo che queste tragedie capitino sempre agli altri e quando, invece, ci rendiamo conto che possono accadere a chiunque, siamo impreparati e, quel che è peggio, soli, una volta spenti i riflettori.

La vicenda che ha coinvolto la sua famiglia l’ha vista in prima linea nell’affrontare il difficile problema degli scomparsi in Italia, tanto che è diventato responsabile dell’Associazione Penelope Lazio. Di cosa si occupa principalmente e quali sono gli obiettivi dell’Associazione? Quali sono, invece, gli ostacoli contro cui vi scontrate ogni giorno?

Il motto della nostra Associazione dice tutto: “Chi dimentica cancella… noi non dimentichiamo!”. L’Associazione Penelope è stata costituita nel dicembre 2002 da Gildo Claps, come approdo di precedenti Comitati sorti per tutelare le famiglie delle persone scomparse. È una Onlus no profit, apartitica e aconfessionale, con il solo fine della solidarietà, della giustizia sociale, della promozione della persona e della sua dignità. È composta dai familiari e dagli amici delle persone scomparse e promuove a livello nazionale occasioni d’incontro e iniziative di sensibilizzazione verso l’opinione pubblica, affinché le persone scomparse non siano dimenticate.
L’obiettivo dell’Associazione è costituirsi su tutto il Territorio Nazionale in sezioni regionali, e promuovere, a vario titolo, l’approvazione e la modifica di varie leggi. Su proposta dell’Associazione, infatti, nel 2007 fu istituito dal Ministro dell’Interno, Giuliano Amato, il Commissariato Governativo per le persone scomparse, che ha imposto alle Prefetture di fornirsi di un piano provinciale di ricerca, ora in dotazione dal 2013.
L’approvazione della Legge n. 203 del 14 novembre 2012 può essere considerata una pietra miliare nel lungo percorso di risoluzione del problema relativo agli scomparsi. Essa stabilisce un punto cardine per il quale Penelope da sempre si batte: che la denuncia di scomparsa sia acquisita immediatamente dalle forze dell’Ordine e non più dopo ventiquattro ore e la possibilità per chiunque, non solo per i familiari, di presentarla.
Un anno fa sono stato nominato Responsabile Provinciale per le provincie di Frosinone e Latina e il mio ruolo nell’Associazione è quello di essere la voce di Penelope Lazio. Rispondo a chiunque chiami per qualsiasi informazione inerente i loro cari scomparsi, sia che sia trascorso molto tempo, sia che si tratti di gestire i momenti di emergenza e, soprattutto, quando i familiari non si sentono adeguatamente tutelati, magari per la mancata applicazione delle leggi che sono state approvate in questi ultimi tempi e che a volte non sono conosciute pienamente neanche dalle forze dell’ordine. A tal proposito, lo scorso anno, la Questura di Roma, in collaborazione con l’Alto Commissario del Governo per le persone scomparse, ha indetto un corso di formazione per gli agenti di Polizia per istruirli sui contenuti della nuova legge e facilitarne così l’applicazione. L’Associazione Penelope Lazio, assieme all’Associazione Psicologi per i Popoli, è stata invitata a partecipare come docente e ha preso parte a tutte le lezioni che si sono tenute.
Attualmente stiamo lavorando con il Commissario del Governo per le persone scomparse, il Prefetto Vittorio Piscitelli, sulle problematiche che pongono i 1282 cadaveri senza nome che si trovano da anni nelle celle frigorifere degli obitori di tutta Italia. Il nostro obiettivo è che a ognuno di essi venga estratto il DNA, facendo in modo che qualsiasi familiare di una persona scomparsa possa chiedere la comparazione e avere così la certezza che si tratti o meno del proprio congiunto, per poter dare una identità a questi corpi.
Come Penelope Lazio stiamo lavorando, inoltre, a un Convegno di rilevanza Nazionale, che si terrà a Roma, nel mese di novembre, in cui presenteremo a tutti i partecipanti, con dati che stiamo cercando di acquisire, tutte le storie di vite sospese delle provincie del Lazio, comprese quelle che mai hanno avuto rilevanza sugli organi di informazione. L'evento si terrà in Campidoglio, dove inviteremo i Sindaci di tutti i Comuni nei quali c'è uno scomparso, per intraprendere, con i responsabili degli Enti Locali, una collaborazione stabile, formalizzando con essi anche un protocollo d'intesa, che verrà discusso insieme.
Gli ostacoli che incontriamo come Associazione sono diversi. Ognuno reagisce in maniera differente di fronte a una scomparsa: c’è chi non si rassegna davanti alle riposte che non arrivano da parte delle Istituzioni e non accetta che tutto debba finire così, e chi si chiude a riccio e vuole soltanto rimuovere un trauma, cosa davvero difficile. Le iscrizioni all’Associazione sono pochissime, purtroppo, ed essendo noi tutti volontari, facciamo fatica a portare avanti i nostri obiettivi e a riempire quello spazio vuoto lasciato dallo Stato. A volte ci chiediamo chi ce lo fa fare, ma poi la volontà di metterci a disposizione di chi si trova in difficoltà supera ogni ostacolo e ci troviamo sempre in prima linea.

È il ricordo a mantenere vive le persone di cui si sono perse le tracce e a dare alle famiglie la forza di non smettere mai di cercare. Qual è il suo ricordo più vivo di suo padre?

Credo che un compito importante per mantenere vivo il ricordo e l’attenzione di tutti nei casi di scomparsa spetti agli Enti Locali. Il loro ruolo per promuovere, assieme ai familiari delle persone scomparse, azioni d’informazione e sensibilizzazione su questo problema, sarebbe cruciale per fare pressione anche sulle Istituzioni Statali. I Sindaci, infatti, in quanto responsabili dell’Ordine Pubblico e della sicurezza del loro territorio, possono promuovere un nuovo approccio di Coordinamento Istituzionale, sia per favorire la ricerca, sia per tenere alta l’attenzione sulla scomparsa di un loro cittadino grazie agli organi d’informazione, come la stampa e le TV locali, e anche attraverso i Social Network. 
Per quanto riguarda il ricordo più vivo di mio padre, ce ne sono due in particolare. Il primo risale a tanti anni fa, quando io, sedicenne, ero con mio padre al mare di Scauri, in provincia di Latina. Ricordo che, mentre facevo il bagno da solo, un mulinello mi stava portando a fondo in un punto dove l’acqua era alta. Dalla banchina del porticciolo le persone, vedendo qualcuno annaspare tra le onde, si misero a gridare. Mio padre, che era un grande nuotatore, si tuffò in acqua immediatamente, per raggiungere e aiutare il malcapitato, che in quel momento non sapeva fosse proprio suo figlio. Io stavo già iniziando a perdere conoscenza e quando ho percepito che c’era qualcuno a cui aggrapparmi ho cercato di farmi forza per restare a galla. Solo in quell’istante papà ha capito che la persona che stava cercando di salvare ero proprio io e ha dovuto faticare non poco per portarmi a riva, salvandomi da morte sicura. Mi dimenavo così tanto che per poco non ho trascinato a fondo anche lui e ci sono voluti giorni per riprenderci da quello spavento.
L’altro ricordo che ho di mio padre risale a poco tempo fa, subito prima della scomparsa. Una domenica d’estate andammo a visitare l’Isola di Ponza, prendendo il traghetto da Formia. Durante la traversata, a causa del mare grosso per una burrasca, molti passeggeri si sentirono male. A un certo punto, nella confusione, ci accorgemmo di aver perso di vista mio padre, perché lui, curioso com’era, girava per tutto il traghetto. Non trovandolo da nessuna parte, un dubbio atroce si impossessò di noi: e se fosse stato sballottato fuori dal traghetto, mentre si affacciava pericolosamente a prua? Avvisammo i marinai di bordo e cominciammo a cercarlo invano. Pensammo, allora, di raggiungere il Capitano nella cabina di comando, per far fermare il traghetto per uomo in mare. Una volta entrati nella cabina, con grande sorpresa, trovammo mio padre di fianco al Capitano che teneva con lui il timone, facendosi spiegare la rotta di navigazione. Neppure il Capitano era riuscito a spiegarsi come mio padre fosse giunto nella cabina di pilotaggio, ma vedendo la sua simpatica insistenza e la sua grande curiosità, e pensando potesse essere suo padre, lo stava accontentando in tutto, sempre nel rispetto di tutte le norme di sicurezza. Dal canto suo mio padre si meravigliò di quanto ci fossimo allarmati: “Dove volevate che fossi?”, disse, “Ho cercato la cabina di pilotaggio, un posto dove ho sempre sognato di entrare, e sono riuscito a realizzare questo mio piccolo sogno di bambino.”